Referendum Cgil, una sfida lineare: a favore o contro il precariato e la sicurezza sul lavoro
Cinque quesiti su altrettante schede elettorali: è la chiamata al voto promossa dal sindacato “rosso”. Manca solo di conoscere la data, non ancora decisa dal GovernoLa data è fissata: per i referendum della Cgil si vota l’8 e il 9 giugno. La sigla confederale sta già girando il Paese per far conoscere i quesiti su cui gli italiani saranno chiamati a esprimersi. Certo, non in coincidenza con il primo turno nazionale delle Amministrative,, il 25 e il 26 maggio, come avrebbe voluto il sindacato. Ma può dirsi iniziato l’assalto al quorum al 50 per cento (diversamente la consultazione popolare non sarà valida).
I referendum sono cinque e tutti abrogativi. Quattro riguardano il lavoro, uno i tempi per la richiesta della cittadinanza da parte degli stranieri. Se si esclude quest’ultimo, su cui si potrebbe allungare l’assurda ombra del razzismo che sempre serpeggia in una certa parte politica, gli altri abbracciano una materia che riguarda tutti. Senza distinzioni di nazionalità e fede. Di mezzo ci sono i contratti, la loro lunghezza, le condizioni in cui presta servizio ogni singolo dipendente (o aspirante tale). Infatti: per evitare la politicizzazione della chiamata alle urne, la Cgil sta cercando di impostare una campagna apartitica. «Il voto è la nostra rivolta», si legge nei manifesti che cominciano a vedersi nelle strade delle città. Di sicuro sui social.
La cornice su cui tutto poggia è la necessità di mettere un paletto «all’uso indiscriminato dei contratti a tempo», ha detto a Cagliari Maurizio Landini, il segretario nazionale che ha fatto tappa in città il 6 marzo. Il dato territoriale l’ha fornito il leader sardo del sindacato, Fausto Durante: «In Sardegna nove under 39 su dieci hanno un contratto a termine». Nella maggior parte dei casi, essere ascritti al «market della precarietà», come l’ha definita Durante, significa non avere le ferie garantite. E nemmeno la malattia. Di certo il futuro è incertissimo. Invece «il lavoro stabile, sicuro, tutelato e dignitoso è un diritto», ha detto ancora Landini. Non fosse altro che ne va di mezzo l’organizzazione della vita: senza una busta paga “solida”, le banche non danno il mutuo casa. A catena tutto il resto. Si lavora ma non si è padroni del proprio destino. Una condanna inaccettabile.
Il primo quesito referendario riguarda l’abrogazione di quella parte di Jobs act (la riforma nazionale del lavoro datata 2016 con Renzi premier) sui licenziamenti. Per via dei contratti a tutele crescenti introdotti nove anni fa, nelle aziende sotto i quindici dipendenti non è ammesso il reintegro di un lavoratore mandato via nemmeno se lo dispone un giudice. Quindi una sentenza del tribunale. La Cgil parla di «licenziamenti illegittimi» e per questo da cancellare.
Il secondo referendum si riferisce sempre alle imprese con meno di quindici dipendenti: il lavoratore a cui viene azzerato il contratto ha diritto a un risarcimento quantificato in un massimo di sei mensilità. Nulla di più. Tanto vale il benservito. La Cgil ritiene che l’indennizzo debba essere proporzionato alla capacità economica dell’azienda.
Si arriva così al lavoro precario, il tema del terzo referendum: per il sindacato “rosso” il ricorso ai contratti a termine deve avvenire solo in determinate condizioni e non essere la prassi, come oggi succede in Italia. È sufficiente un altro numero per capire quando sia inflazionata questa modalità di assunzione: oggi sono circa due milioni e 300mila le persone inquadrate così. Per una ragione su tutte: «La legge prevede che la precarietà, con contratti sino a dodici mesi, sia utilizzata senza alcuna ragione oggettiva che giustifichi appunto il ricorso a forme temporanee di occupazione». Questa è la parte di Jobs act che la Cgil chiede di cancellare.
Il quarto referendum riguarda il versante drammatico della sicurezza: in Italia, nel 2024, si sono contate mille morti bianche. Mille. Un numero enorme da cui emerge una costante: a perdere la vita quando ci si guadagna la pagnotta, sono in gran parte lavoratori in nero di imprese subappaltatrici. Cioè ditte che per accaparrarsi quella determinata attività abbassano talmente tanto il prezzo, da tagliare su stipendi, contributi e sicurezza, pur di mantenere un margine di guadagno elevato. Spesso imprese fantasma per il Fisco e gli enti previdenziali. La Cgil propone il cambio della normativa imponendo «la responsabilità solidale tra appaltante e subappaltante». Ragion per cui il primo committente è chiamato a rispondere civilmente, finanziariamente e penalmente in caso di infortuni sul lavoro.
Infine l’ultimo quesito: oggi in Italia uno straniero deve lavorare (e pagare le tasse) per dieci anni prima di poter chiedere la cittadinanza italiana. Con il quinto referendum si propone il dimezzamento di questo tempo a cinque anni. Dal sindacato precisano che tutti gli altri requisiti non vengono toccati dal referendum. Ovvero, bisogna conoscere la lingua, avere un reddito, essere incensurati e senza debiti tributari, ma anche non rappresentare un pericolo per la sicurezza nazionale.
È evidente che non ci sia nulla di politico in questi referendum. La questione sollevata dalla Cgil è sociale. Sindacale, per meglio dire. Il diritto al lavoro deve essere per la vita, non per una stagione. La Cgil incalza: «Vota sì per cambiare l’Italia».