«Cara Unione,

l’enologia sarda è morta! Viva l’enologia sarda!

Sono tempi non facili per il vino sardo. Se è vero che negli ultimi anni la Sardegna è finalmente riuscita ad invertire quella drammatica tendenza, fatta di espianti di vigneti e vino sfuso dozzinale di scarsa qualità, è anche vero che purtroppo non è tutto oro quello che luccica.

In Sardegna è finalmente cresciuto l’interesse nei confronti del mondo del Vino. I consumatori sono più attenti, colti e interessati. Ma il fatto più interessante è che ci sono tanti ragazzi giovani che tornano alla terra avviando nuove imprese vitivinicole. Gli ettari vitati in Sardegna riprendono a crescere e l’Università di viticoltura ed enologia forgia ogni anno giovani professionisti che sono preparati, qualificati e molto motivati.
Questo non può che fare benissimo alla nostra terra: che dovrebbe puntare molto di più sulle nuove generazioni e sulle produzioni di altissima qualità.
Ma tutto ciò non basta.
Ci sono alcuni aspetti che andrebbero approfonditi.

L’università è uno strumento fondamentale. Ma non è il punto di arrivo. Si tratta infatti di un punto di partenza con cui cimentarsi e sperimentare sul campo. Chi vive davvero la natura e i suoi derivati – come il vino - sa che di ricette inconfutabili e di calcoli fatti a tavolino ce ne sono ben pochi. Occorre confrontarsi di più con il resto del Mondo del Vino. Servirebbero più Erasmus vinicoli e meno stage fatti dal vicino di casa.

Altro aspetto fondamentale è l’analisi approfondita del territorio e del contesto. Forse occorrerebbe smetterla di parlare di Sardegna del vino iniziando a parlare di “Sardegne del Vino” al plurale. Si tratta di un discorso molto sentito tra i produttori, ma purtroppo ad oggi si fa ancora molta fatica a parlare di territori e delle loro peculiarità.
Perché la Sardegna è un piccolo continente per davvero! Ogni areale ha delle caratteristiche geologiche e climatiche differenti; specificità spesso uniche, che vanno esaltate con criterio, raziocinio e senza estremizzazioni.

Ad esempio, ad oggi manca ancora una mappatura dei diversi areali vinicoli che hanno luogo nelle “regioni storiche” della Sardegna. Servirebbe una zonazione completa, che vada ad unificare tutti i dati già esistenti – anche nel patrimonio orale degli anziani: che spesso hanno già la maggior parte delle informazioni necessarie - al fine di creare un unico documento che possa essere facilmente accessibile a tutti gli interessati.

Parlando di territori, non possiamo prescindere da una riforma radicale delle denominazioni di origine. Esse avevano forse un senso quando sono nate: al tempo in cui in Sardegna l’80% del vino veniva commercializzato da grandi cantine sociali. Oggi la situazione è diversa.
Servono delle denominazioni che, valorizzando i territori (e non i vitigni), mettano nelle condizioni le cantine di far fronte in modo chiaro ad un mercato sempre più globale, sempre più esigente, ma soprattutto sempre più informato e attento al luogo e alla modalità con cui i vini vengono realizzati.
Infine uno dei tasti più dolorosi, perché ad essere chiamati in causa sono proprio quelle persone che si sporcano le mani: i consulenti enologici che a ragione o torto cercano di dare una veste nuova al Vino Sardo. Ma purtroppo, oggi siamo in una situazione di rovescio della medaglia perché sfortunatamente si bevono ancora troppi vini che non parlano del loro luogo di origine. Liquidi che non hanno capacità di narrazione, vittima essi stessi di atteggiamenti troppo invasivi e manipolativi in cantina. Vini senza difetti ma pusillanimi, incapaci di andare oltre la staccionata e di vedere la linea dell’orizzonte in fondo al mare. Vini troppo simili l’uno con l’altro, realizzati emulando ricette sperimentate altrove che poco si addicono al contesto dove nascono.
Il vino buono si fa in vigna, non in cantina. Tutti lo dicono, ma solo in pochi ci credono veramente. D’altronde, il termine “terroir”, tanto caro ai francesi, sta a significare: Suolo, Clima e mano dell’uomo. Ma inteso come bilanciamento perfetto tra i tre fattori: dove l’uomo è interprete della relazione tra suolo, clima e pianta, non un manipolatore in conto terzi.

È bene pertanto che la politica si dia una mossa. Urge una visione completa e di lungo periodo. Un progetto vitivinicolo organico che pensi alle generazioni future.
Serve una cabina di regia in grado di studiare e lavorare su tutti questi fronti. Un osservatorio perenne che parli e studi di vino ogni giorno facendo analisi e studiando strategie. Una sorta di “pool” che abbia la conoscenza e la capacità di raffrontarsi con tutto il Mondo Enologico, che parli senza limiti e preconcetti di agricoltura convenzionale, biologica e biodinamica.
Confrontarsi con realtà diverse fa crescere. Solo così si può fare in modo che la Sardegna e le sue “Sardegne del Vino” possano diventare seriamente una cosa seria.
Diversamente continueremo a stappare bottiglie di vino e invece di riconoscerne la provenienza, andremo avanti a riconoscerne l’artefice».

Luca*

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