P iero Fassino passa al duty free dell’aeroporto, acchiappa un profumo ma dribbla la cassa. Distrazione o intenzione? Non lo sappiamo; se ne occuperà l’autorità giudiziaria. Fassino finora è indagato di tentato furto, non è poco ma è tutto qui. Gli assatanati della tastiera schiumano rabbia contro il politico mettendo spietatamente in luce il “furto “e dando per scontato la verità che è ancora da chiarire. Se venisse accertata la colpevolezza l’onorevole meriterebbe il carico da novanta, ma poiché ancora non c’è, calmi e sereni. Che non vuol dire stare con Fassino ma con la legge e il rispetto che ciascuno merita fino a prova contraria. Certo, qualcosa non torna. I vigilantes dicono che Fassino ci avrebbe provato altre due volte con la solita eau de toilette ma che tutto finì in gloria; all’ultimo Chanel da 130 euro, di fronte all’ordine “svuoti le tasche”, si dice abbia abbozzato una sortita condita con la punta acida di arroganza tipica dell’io sono io che lo allontana dalla difesa concessa al poveraccio che per fame sgobba il salamino. In questa storia trova spazio anche il classico “qui” al posto del “quo” che si infiltra e miete vittime dappertutto. Se il re normanno Hastings scambiò la foce del Magra con quella del Tevere e saccheggiò Luni credendola Roma, volete che il qui pro quo non abbia portato Piero a scambiare la tasca con la cassa?

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