«L’ho vista svanire nel buio, non l’ho uccisa».

Parla per la prima volta la madre di Saman Abbas e, piangendo, dice di non essere stata lei ad uccidere la figlia. Anche il padre ha ribadito che lui e la moglie non c’entrano e che a suo avviso i responsabili sono lo zio e i cugini.

I due coniugi, poi, hanno smentito le parole del figlio minore e fratello di Saman, l'accusatore dei suoi stessi familiari.

Racconti che si aggrovigliano e si contraddicono al termine delle dichiarazioni dei tre principali imputati, sentiti nel processo d’appello per il delitto. Lo zio della ragazza, considerato esecutore materiale del delitto, nella scorsa udienza aveva detto di non avere idea di chi l’avesse uccisa ma di aver saputo, dal Pakistan, che erano stati i genitori. Però lui sapeva dove era stata sepolta, tanto da indicarlo agli inquirenti. E a scavare la buca sarebbero stati i due ciguni di Saman, che per il momento tacciono ma tra due settimane potrebbero scegliere di aggiungere la loro versione dei fatti.

Nessuno, tranne il fratello della vittima, che non è imputato, accusa direttamente gli altri, ma il "clan", come l'aveva definito la Procura di Reggio Emilia, si è spezzato. Quattro anni dopo la morte della ragazza, il viaggio in Pakistan per i genitori, la fuga in Francia e Spagna per gli altri tre parenti, ci si avvicina alla resa dei conti.

Anche perché in ballo c'è l'ergastolo: da qui partono il padre e la madre, Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, estradati dal loro Paese di origine in tempi diversi e condannati a Reggio Emilia al massimo della pena a dicembre 2023. Lo zio Danish, che per la Procura sarebbe l'esecutore materiale, ha invece avuto una condanna a 14 anni, mentre i due cugini, Nomanhulaq Nomanhulaq e Ikram Ijaz, sono stati assolti e partecipano all'appello a Bologna a piede libero. La sentenza reggiana li ha infatti scagionati, facendo cadere la premeditazione, in una lettura dei fatti per cui padre, zio e madre sarebbero "parimenti coinvolti" nel delitto, maturato nell'escalation frenetica della serata del 30 aprile 2021, quando Saman decise di andarsene. Senza escludere che a compierlo sia stata la stessa madre, l'ultima persona che le telecamere hanno ripreso vicino alla figlia, fuori dalla casa di Novellara.

La donna, che oggi ha parlato per la prima volta, ha detto in lacrime: «Siamo usciti insieme, ho visto Saman che si stava incamminando molto velocemente. Poi lo ho vista sparire, svanire nel buio. Non sono stata io a uccidere mia figlia. Mi sento morta e finché non morirò passerò la mia vita piangendo. L'ho solo vista allontanarsi. Se avessi visto qualcosa mi sarei battuta per fermare qualsiasi tipo di aggressione nei suoi confronti, perché sono mamma».

Nessun cambio di linea neppure per il marito. «Voglio precisare che non siamo stati noi genitori a uccidere nostra figlia. Ho forte dolore, dal momento in cui l'ho scoperto fino ad oggi. Lo avrò per tutta la vita». Come ha detto la moglie «noi uscimmo di casa, lei (Saman) andò nella strada, era buio, non abbiamo visto nulla». Chi è stato quindi? «Ho sentito Danish che ha dichiarato che erano presenti lui e gli altri due, quindi penso siano stati loro tre».

Shabbar ha anche ribadito quello che aveva già detto in primo grado: poco prima che la figlia uscisse aveva sentito che stava telefonando in bagno. «Disse: 'vieni a prendermi'. Pensavo parlasse col fidanzato e per quello chiamai Danish e gli dissi: 'dategli una lezione, ma non picchiatelo troppo'. Lui mi rispose: 'ci pensiamo noi’». Perché, ha domandato un avvocato di parte civile, non ci pensò lei in prima persona? «Avevo mal di schiena», la risposta.

(Unioneonline)

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