Il Nobel è una faccenda per uomini, premiate solo 66 donne (e una è sarda)
Sono il 6 per cento del totale, ancora meno nelle scienzePer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
La “nostra” Grazia Deledda fa parte di una pattuglia molto sparuta, quella che il sito ufficiale The Nobel prize mette alla voce Women who changed the world, le donne che hanno cambiato il mondo. Sono solo 66 (ma Marie Curie vale doppio perché ne ha presi due) le vincitrici del premio più prestigioso del globo contro 897 uomini, poco più del sei per cento. Appena il quattro se si considerano solo le discipline scientifiche come ha rilevato la rivista Nature che alla vigilia dei Nobel ha rielaborato tutti i dati per fisica, medicina e chimica.
Una pattuglia che però aumenta in maniera esponenziale. Dal 1901 al 1925 erano solo tre per quattro premi, Marie Curie lo vince per la fisica nel 1903 e per la chimica nel 1911. Tra il 1926 e il 1950 sono otto compresa Grazia Deledda premiata proprio nel ‘26 “per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e calore tratta problemi di generale interesse umano”. In tutto il secolo – dal 1901 al 2000 - il premio finisce per 30 volte in mani femminili mentre nei successivi 24 anni l’evento si ripete per 36 volte. Una progressione che racconta come le eccellenze non possono che fiorire con una presenza più ampia delle donne nei laboratori.
Il gap, infatti, è più evidente nella scienza. Sono solo cinque le vincitrici nella Fisica, la prima fu Marie Curie nel 1903 per i suoi studi sulle radiazioni compiuti insieme al marito Pierre e bisognerà aspettare 60 anni per la seconda e altri 55 per la terza, la quinta Anne L’Huillier è la vincitrice dello scorso anno (insieme a due colleghi uomini) “per i metodi sperimentali che generano impulsi di luce ad attosecondi per lo studio della dinamica degli elettroni nella materia”. L’Huiller in un’intervista ha dichiarato che «è importante avere persone di diversi sessi e diversi background perché questo penso che arricchisca la ricerca».
Per sette volte è andato a una donna il Nobel per la chimica (anche in questo caso la prima Marie Curie nel 1911 per la scoperta del radio e del polonio) ma le premiate sono otto perché nel 2020 il premio fu assegnato a due ricercatrici, Emmanuele Charpentier e Jennifer Doudan per lo sviluppo del metodo per l’editing del genoma.
Le donne sono appena più numerose per la Medicina, 11 premi per 12 ricercatrici, ma sono arrivate più tardi, nel 1947 con Gerty Cori, l’ultima lo scorso anno fu Katalin Karikò madre della tecnica del mRna applicato nei vaccini anti Covid. Tra le vincitrici c’è anche la seconda italiana dopo la Deledda, Rita Levi Montalcini premiata insieme al biochimico Stanley Cohen nel 1986 per le scoperte della proteina che ha rivoluzionato la conoscenza del sistema nervoso e di malattie come l’Alzheimer e il Parkinson. Rosalyn Yalow, vincitrice nel 1977, tenne un celebre discorso sul ruolo delle ricercatrici: «Dobbiamo alimentare le nostre aspirazioni con la competenza, il coraggio e la determinazione di riuscire e dobbiamo sentire la responsabilità personale di rendere più semplice il cammino per chi verrà dopo».
Le donne giocano su territori meno ostili, pur restando in minoranza, per la letteratura e la pace. Sono 18 le poetesse e le scrittrici da Nobel, da Selma Lagerlof nel 1909 alla scrittrice sudcoreana Han Kang premiata appena pochi giorni fa (unica nel palmares del 2024) e nella parola scritta la differenza tra i sessi, i popoli, le culture fa parte spesso delle motivazioni stesse del premio. Come il caso di Doris Lessing “narratrice dell’esperienza femminile che con scetticismo, passione e potere visionario, ha messo sotto esame una società divisa”, di Toni Morrison per la realtà dei neri americani, di Nelly Sachs sopravvissuta all’Olocausto “per aver interpretato il destino di Israele con forza toccante”, per Gabriela Mistral nel 1945 “simbolo delle aspirazioni di tutto il mondo latinoamericano” o per la stessa Deledda e la forza del suo racconto della realtà sarda.
Ma le questioni di genere entrano con forza in molti dei 16 Nobel per la pace assegnati a 19 donne. L’attivista iraniana Narges Mohammadi, al momento in carcere, è stata premiata per la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran lo scorso anno, l’irachena Nadia Murad nel 2018 per la denuncia sull’uso della violenza sessuale come arma di guerra, nel 2011 il premio andò alle liberiane Ellen Johnson-Sirleaf Leymah Gbowee e alla yemenita Tawakkul Karman per la loro lotta non violenta “in favore della sicurezza delle donne e del loro diritto a partecipare al processo di pace”, all’avvocata iraniana Shirin Ebadi nel 2002 per le battaglie per i diritti delle donne e dei bambini.
Ed è una donna la vincitrice più giovane Malala Yousafzai che a 17 anni nel 2014 lancia l’appello: «Se una ragazza può cambiare il mondo cosa possono fare 130 milioni di ragazze?»
Temi di genere anche nell’ultima delle tre premiate per l’economia (premio che però è stato istituito solo nel 1968 in memoria di Alfred Nobel che non l’aveva previsto). Claudia Goldin, è la motivazione dell’Accademia ci ha aiutato a capire i risultati delle donne sul mercato del lavoro anche con i suoi studi sul gender gap.
Lo studio su Nature
“I dati suggeriscono che per avere migliori chance di essere premiati bisogna essere uomo”, scrive Nature nella sua analisi sui tre premi scientifici. Ma non è l’unico elemento di differenza. Altro fattore importante per gli aspiranti vincitori è la posizione geografica: per avere le migliori possibilità, è meglio nascere e lavorare nel Nord America, che ha infatti totalizzato il 54% di tutti i premi, mentre l'Europa offre probabilità leggermente inferiori. Solo 10 vincitori finora provengono da paesi a reddito medio-basso, e la maggior parte di questo piccolo gruppo si era trasferita in Nord America o in Europa al momento della consegna del premio.