Ha allenato con profitto gli Allievi Regionali A1 della Gigi Riva, nella stagione regolare appena conclusa al quarto posto, e da quando siede in panchina ha sempre dato grande considerazione allo sviluppo dei giovani. Davide Zini, originario di Atzara e fra gli allenatori emergenti sardi, ha da poco completato il Girone A coi ragazzi arrivati al loro ultimo anno nel settore giovanile della società che porta il nome del Mito. Un campionato che si è chiuso a poca distanza da Sigma e Ferrini, qualificate ai play-off, così come del Monastir che li ha sfiorati chiudendo al terzo posto. «Sono molto contento per i ragazzi, non avevano mai vissuto una stagione del genere», il suo giudizio. «È stato entusiasmante accompagnarli in questo ultimo loro percorso nel settore giovanile, hanno espresso un grande calcio e ricevuto tanti apprezzamenti. Ci siamo tolti tantissime soddisfazioni, merito di un calcio basato sul "noi" e non sui singoli, con valori sportivi imprescindibili nei gruppi che alleno».

In panchina. Zini ha cominciato ad allenare nella Juniores del CUS Cagliari, poi prima della Gigi Riva ha anche avuto esperienze all'Orrolese e al Nurri. Fra i giocatori che ha incontrato ci sono due giovani come Nicolò Palmas e Gianluca Reginato, entrambi del 2005, ora nelle prime squadre di Pirri e Selargius in Promozione. La sua missione è far sviluppare i ragazzi, con l'augurio di lanciarli nel mondo dei grandi. «Coi gruppi lavoro sempre sul concetto di identità e unicità», spiega. «Il mio motto è "ragionare da ultimi", per stimolare i ragazzi a migliorarsi e superare ogni ostacolo. Do grande valore al fattore psicologico ed è fondamentale, per gestire un gruppo, coinvolgere tutti per farli sentire importanti e soprattutto farli divertire». Sullo sviluppo del calcio sardo, Zini ha una sua idea: «Ci vorrebbe un lavoro sinergico tra FIGC, LND, Istituzioni e i vari Provveditorati agli studi, per un progetto scolastico che coinvolga i ragazzi offrendo loro la possibilità di iscrizione nei vari tornei. Purtroppo spesso nei paesi mancano le società perché programmare è quasi impossibile: questo costringe le famiglie a enormi sacrifici, per trovare realtà che garantiscano ai propri figli di fare sport».

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