G iorgia Meloni: «Mi assumo la responsabilità di non ratificare il Mes». Antefatti. Il 9 giugno scorso Stefano Varone, capo di gabinetto del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, mandava alla Camera un parere favorevole alla ratifica della riforma del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità. La riforma, si chiariva nella nota, non ha ricadute negative per l’Italia; semmai, ratificare la nuova versione del Mes, a suo tempo già concordata anche con l’Italia, può ridurre il costo di finanziamento del debito pubblico, perché sarebbe «un segnale di rafforzamento della coesione europea».

Q uello stesso giorno, però, Giorgia Meloni mandava un messaggio opposto: «non ha senso ratificare la riforma del Mes se non sai cosa prevede il nuovo Patto di stabilità e crescita» (ossia le nuove regole di bilancio europee che ancora devono essere discusse e approvate).

Con la sua mossa, Giorgetti voleva offrire al Parlamento gli argomenti di merito per far capire che ratificare la riforma del Mes è vantaggioso anche per l’Italia. Non che il ministro si facesse molte illusioni, in proposito. Qualche settimana fa, infatti, al consiglio d’amministrazione del Mes, che non è altro che un vertice dei ministri finanziari dell’euro in altra forma, Giorgetti era stato chiaro: «In Italia non esiste una maggioranza in Parlamento per ratificare la riforma del Mes». Con questa frase il ministro pensava anche ai 5 Stelle e non solo a Fratelli d’Italia o ai suoi colleghi della Lega, che sulla riforma del Mes si erano già espressi negativamente. L’essere uscito allo scoperto, esponendosi alle reazioni negative nel suo stesso partito, permetteva tuttavia a Giorgetti di chiarire che non era lui a congelare la riforma del Mes.

La mossa del ministro dell’Economia, tuttavia, non ha superato gli equivoci, per cui l’Italia è rimasto l’ultimo Paese a bloccarne la ratifica. In primo luogo, perché lo scambio negoziale suggerito da Giorgia Meloni di fare concessioni sul Mes in cambio di aperture favorevoli all’Italia sul Patto di stabilità è irrealistico. Gli altri governi europei sono infastiditi dalla mancata ratifica italiana, ma non sono disposti a barattarla con regole di bilancio più accondiscendenti verso il nostro Paese. Al contrario, l’atteggiamento attendista dell’Italia rischia di indebolire la posizione negoziale di Giorgetti non solo sul Patto di stabilità, ma anche sul fronte delle nomine. Il ministro ha infatti candidato il suo predecessore Daniele Franco alla guida della Banca europea degli investimenti e il suo è senz’altro il nome più credibile per la Bei. Per l’Italia sarebbe un posto utile e di prestigio, anche perché la Bei sarà al centro di una ricostruzione ucraina da centinaia di miliardi di euro.

In conclusione, il Mes è diventato di nuovo un problema. Con il ministro leghista Giancarlo Giorgetti deciso a farlo approvare, ma con Salvini e Forza Italia pronti a mettersi di traverso. E, da ultimo, con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ora schierata formalmente contro. È possibile che la premier voglia prendere tempo prima di presentare la riforma al Parlamento, magari per ottenere dall’Ue concessioni sul Patto di stabilità. Perciò, si potrebbe rinviare la ratifica a settembre, visto che essa risulta così divisiva e viene ritenuta non urgente da Forza Italia e dalla Lega. Ma per Palazzo Chigi la questione sta diventando politica ed elettorale. Incrocia calcoli e manovre di alleati decisi a non lasciare campo libero a Meloni. Per un berlusconismo che teme di sparire e un leghismo consapevole di non poter ripetere l’exploit del 2019, quando alle Europee prese il 34,33%, la prospettiva di un ulteriore ridimension amento è concreta. Quattro anni fa Fratelli d’Italia prese appena il 6,46%, ma la possibilità che nel 2024 quadruplichi il risultato a spese degli alleati spiega bene quanto sta accadendo.

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