S tavolta ci divertiamo, e attenti al colpo di scena finale. C’è davvero qualcosa di beffardo nelle traiettorie di una geometria non euclidea che in queste ore unisce, nella battaglia, Elly Schlein e Giorgia Meloni, entrambe strette - malgrado i rispettivi successi - in un momento di difficoltà parallela. Elly è alle prese con una rivolta sottocoperta di colonnelli e sergenti, dopo la lettera-documento di trenta piddini genovesi che hanno lasciato il partito per buttarsi tra le braccia di Calenda. La Schlein non avrebbe voluto, ma si ritrova già in guerra con gli oppositori interni.

M entre invece (con effetti potenzialmente più drammatici per l’Italia) Giorgia si è ritrovata - suo malgrado - a fare, anche lei, esattamente quello che non avrebbe mai voluto: duellare con l’Europa. Apparentemente i nemici della Schlein dicono di essere feriti dalle sue scelte anti-moderati: ma nel documento che hanno scritto non riescono ad elencare nemmeno un motivo. Apparentemente i nemici di Giorgia nella Commissione hanno aperto le ostilità con un gesto minimale: non hanno dato nessuna risposta al piano di salvataggio dell’ex Alitalia presentato dal nostro Paese. Ma tutti capiamo che dietro i carneade piddini genovesi in realtà c’è l’ombra degli oppositori interni più importanti che si nascondono dietro di loro, da Vincenzo De Luca all’ex ministro Lorenzo Guerini e agli inossidabili, sempiterni, democristiani Dem.

Mentre tutti intuiscono, con altrettanta facilità, che dietro la disputa ridicola di Bruxelles (“Non abbiamo ricevuto il piano di acquisizione di Ita da parte di Lufthansa!”) si nasconde lo zampino dei popolari europei, che vogliono combattere la presidente del Consiglio italiana ora, per fermare la potenziale avanzata dei conservatori nel prossimo voto per l’europarlamento. Gli oppositori neodemocristiani di Elly vogliono logorarla ora, per farle perdere la sfida di Strasburgo. Gli oppositori euro-democristiani di Giorgia vogliono difendere con unghie e denti la maggioranza Ursula che governa Bruxelles. Gli oppositori di Elly vogliono ribaltare la segretaria. Ma adesso - abracadabra - ecco il colpo di scena: l’uomo “che gioca contro l’Italia con la maglia dell’avversario in Europa” (come dice caustico Matteo Salvini) è un commissario europeo che si chiama Paolo Gentiloni. Ma, curiosamente, anche l’uomo che gli oppositori interni sognano di elevare al rango di leader nel Pd per sostituire la Schlein è un commissario europeo, e si chiama Paolo Gentiloni. E i due Gentiloni, quello con cui duella la Meloni, e quello con cui da domani potrebbe duellare la Schlein, sono in realtà la stessa persona. Il bello è che c’è una logica che spiega l’arcano: l’ex ministro della Margherita, il cocco di Giorgio Napolitano ripescato (agli Esteri) dopo essere arrivato terzo alle primarie, l’ex numero due di Matteo Renzi del 2014 (poi denunciato dall’uomo di Rignano come “traditore” nel 2016), ribattezzato “Er moviola” per la sua capacità di attesa del momento giusto, è una vecchia volpe del Palazzo. È a fine corsa a Bruxelles e potrebbe essere l’uomo ideale per quelli che puntano a “normalizzare” il Pd. E non c’è nulla di male: tutti possono nutrire legittime ambizioni, soprattutto un leader che come Gentiloni si sente ancora giovane e nel pieno della maturità politica, con una lunga biografia che lo ha portato dal Movimento Studentesco al Pdup, da Legambiente alle cento città, dai Democratici alla Margherita, dal Pd alla maggioranza Ursula. Tutto è legittimo, qualsiasi ambizione, chiunque ha diritto di sfidare sia la Meloni che la Schlein. Ad una condizione: la Schlein ha vinto le lezioni portando un milione e duecento mila persone a votare nelle primarie, e la Meloni ha portato un partito dall’1,9% al 30%. Se qualcuno vuole sfidare le due underdog della destra e della sinistra, deve candidarsi in una lista e prendere i voti. Se possibile, uno più di loro.

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