#Per approfondire: Arabia Saudita, dietro il velo delle donne
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La notizia ha fatto il giro del mondo ed è stata ripresa con enfasi un po’ su tutti i media: dallo scorso 24 giugno le donne possono guidare anche in Arabia Saudita, uno degli stati più chiusi di fronte a ogni tipo di emancipazione femminile. La revoca del divieto è stata voluta dal principe ereditario Mohammed Bin Salman ed è stata interpretata da molti come un segnale di rinnovamento importante nel Paese più integralista del mondo islamico, celebre per la segregazione femminile, per la poligamia e per il mancato rispetto dei diritti umani.
Non bisogna infatti dimenticare che nel mondo saudita le donne sono confinate nel ruolo di mogli e madri disegnato per loro dalla Sharia, la legge islamica, e che dipendono da un guardiano – il marito, il padre, un fratello oppure un parente maschio – per qualsiasi scelta e decisione che debbano prendere. Senza il consenso del guardiano una donna saudita non può lavorare ma neppure uscire di casa oppure viaggiare. Insomma, le donne saudite vivono ancora in un harem diffuso fatto di divieti, di soglie, di proibizioni, di ingressi separati.
Un harem in cui è entrata la giornalista Michela Fontana, che ha vissuto e lavorato a Riad per due anni e mezzo e ha avuto l’occasione di entrare in contatto con le donne saudite, dietro la rigida cortina che le separa dal resto della società. È nato così Nonostante il velo (Morellini editore, 2018, Euro 17,90, pp. 416. Anche EBook), libro-inchiesta che permette di cogliere attraverso le voci delle donne saudite i paradossi e le ambiguità del Paese, e di scoprire che sono proprio loro a esprimere le più forti istanze di rinnovamento. In una società dove solo il 17% delle donne cerca un impiego, infatti, sono sempre più numerose quelle che superano le barriere della tradizione e si cimentano nelle professioni notoriamente esclusive del sesso maschile – architetto, finanziere, ingegnere, artista o scrittore – anche sfidando i pregiudizi.
Tutto questo sta avvenendo in un momento chiave per la storia del Paese, con l’affermazione sulla scena politica del nuovo uomo forte, l’erede al trono, che ha intrapreso un percorso di riforme sociali, alcune delle quali riguardanti proprio il mondo femminile.
Ma veramente le cose stanno cambiando in Arabia come il permesso di guida sembrerebbe indicare? Oppure qualcosa sta mutando perché tutto resti uguale? Lo chiediamo a Michela Fontana:
“Sono vere entrambe le cose. Da un lato sono in atto cambiamenti epocali e il permesso di guida è un atto rivoluzionario in un Paese come l’Arabia dove alcune donne che hanno provato a infrangere il divieto sono finite addirittura in carcere. Sicuramente l’erede al trono punta a modernizzare il Paese e ha deciso di fare aprire i cinematografi e di concedere visti turistici, mentre prima si poteva entrare in Arabia solo se si era musulmani e si voleva andare alla Mecca. Allo stesso tempo l’Arabia rimane un Paese governato da una monarchia assoluta e anche il permesso di guidare alle donne è una concessione reale non un diritto acquisito”.
Perché allora queste concessioni?
“La ragione principale riguarda l’economia saudita. A lungo il Paese si è sostenuto solo con i proventi del petrolio. Ora si vuole realizzare un vero sviluppo economico e tutti, uomini e anche donne, devono contribuire con il loro lavoro. Chiaramente se una donna non può guidare difficilmente può lavorare. Se fa la cassiera di un supermercato non può certo pagarsi l’autista”.
L’erede al trono punta anche a limitare il ruolo dei religiosi, così influenti nel Paese?
“C’è anche questo obiettivo, anche se già le riforme sono un segnale che i religiosi più radicali sono indeboliti. Intendiamoci, il sovrano saudita è il custode della Medina e della Mecca, ha un ruolo fortissimo in campo religioso, però ora la monarchia vuole limitare le frange religiose più estreme e integraliste. Sono stati, per esempio, ridotti i poteri della polizia religiosa che interveniva in maniera spesso violenta anche di fronte a un velo fuori posto. Però l’Arabia è comunque la patria di una forma di Islam repressivo, dogmatico e restrittivo, pieno di regole estremamente rigide e in questo non è cambiata”.
Il suo è un libro di dialoghi e interviste con donne saudite. Le donne che ha conosciuto guardano all’Occidente e ai suoi valori come punti di riferimento?
“Direi di no. Sono certamente influenzate dallo stile di vita occidentale ma anche se una donna o un uomo saudita studiano e lavorano in Occidente questo non cambia la loro cultura di fondo. I valori in cui sono cresciute le donne rimangono molto sentiti: l’attaccamento alla famiglia, l’importanza dell’appartenenza tribale, l’adesione a una forma molto rigida di Islam”.
Cosa pensano allora di noi occidentali?
“Il più delle volte pensano che le nostre libertà sono eccessive. Se vengono in Occidente e vedono che noi donne qui godiamo di molti diritti e libertà non per questo ci apprezzano necessariamente. Anzi, a volte ci ritengono poco serie, quasi della prostitute”.
Cosa le attira allora del mondo occidentale?
“Sto generalizzando naturalmente perché non esiste un modello unico di donna o uomo saudita. Però in generale l’Occidente offre ottime scuole, grande preparazione e possibilità lavorative e questo attira anche se non si condividono i valori occidentali. Una donna mi ha detto: ʻQuando sono all’estero posso fare molte cose, e riconosco che le università che i miei figli e le mie figlie frequentano sono fantastiche. Ma non capisco la vostra cultura e soprattutto non approvo la libertà che viene concessa alle donne. Le ragazze escono con i ragazzi quando sono giovani, si vestono in modo sconveniente e magari rimangono incinte. Per noi è inconcepibile. Da noi la donna è considerata un bene prezioso, è protetta, trattata come un gioielloʼ. Oppure mi è capitato di parlare con una donna che aveva studiato in Occidente, aveva i suoi figli negli Stati Uniti però mi ha confessato di essere stata felice quando i terroristi – che ricordiamo erano per la maggior parte sauditi – hanno fatto crollare le Torri gemelle a New York. Insomma dobbiamo sempre ricordarci – e il discorso vale non solo per i sauditi ma per molta parte del mondo arabo – che il fatto che frequentino il nostro mondo non significa che ci sia apprezzamento o ammirazione”.
Nel suo libro colpiscono le tante regole, limitazioni, norme a cui devono sottostare le donne e in una certa misura anche gli uomini. Cosa, tuttavia, l’ha colpita positivamente dell’Arabia Saudita?
“La forza dei legami famigliari, l’ospitalità, ma soprattutto mi ha colpito positivamente la vivacità delle donne che ho incontrato, la loro energia positiva, il loro desiderio di emanciparsi pur rimanendo all’interno della loro cultura e della loro religione. Certo la strada è ancora lunga, oggi le donne possono guidare ma dipendono ancora per tutta la vita da un guardiano. Solo quando la figura del guardiano sarà abolita in Arabia Saudita allora le donne potranno considerarsi membri della società al pari degli uomini. Come, con quali tempi e se questo avverrà è tutto da vedersi”.