Non è il primo provvedimento del genere ma la decisione con cui la sezione autonoma delle misure preventive del Tribunale di Milano ha imposto l’amministrazione giudiziaria per un anno a una importante società dell’alta moda italiana è di quelle che fanno discutere.

Tutto è cominciato con la richiesta formulata dalla Procura della Repubblica del capoluogo lombardo che, al termine di un’indagine, aveva sollecitato l’amministrazione giudiziaria della società seppure limitatamente ai rapporti con le imprese fornitrici. Il problema era legato a quello che comunemente viene chiamato caporalato.

Ebbene, i giudici hanno preso il provvedimento sostanzialmente valutando che la società aveva subappaltato la produzione di abbigliamento e accessori a società cinesi che sfruttavano i lavoratori.

Il provvedimento parte con una premessa in diritto: la misura ha come presupposto specifico la ricorrenza di sufficienti indizi per ritenere che il libero esercizio di determinate attività economiche, comprese quelle imprenditoriali, abbia carattere ausiliario e agevolatorio rispetto all’attività di persone nei confronti delle quali è stata proposta o applicata una misura di prevenzione, ovvero persone sottoposte a procedimento penale per associazione di stampo mafioso, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, associazione a delinquere, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, estorsione, usura, riciclaggio.

Secondo l’accusa la società finita nel mirino della Procura non è riuscita a

prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo nell'ambito del ciclo produttivo non avendo messo in atto misure idonee alla verifica delle reali condizioni lavorative ovvero delle capacità tecniche delle aziende appaltatrici tanto da agevolare (colposamente) soggetti raggiunti da corposi elementi probatori in ordine al delitto di caporalato.

In sostanza, la società avrebbe dovuto verificare la reale capacità imprenditoriale delle società appaltatrici alle quali affidare la produzione e le concrete modalità di produzione adottate.

Secondo il Tribunale di Milano la società dell’alta moda è pure rimasta inerte nonostante fosse a conoscenza dell’esternalizzazione della produzione da parte delle società fornitrici, omettendo di assumere iniziative come la richiesta formale di verifica della filiera dei sub appalti, di autorizzazione della concessione degli stessi o la rescissione dei legami commerciali. In questo modo si è realizzata, quantomeno sul piano del rimprovero colposo determinato dall’inerzia della società, quella condotta agevolatrice richiesta dell’articolo 34 del decreto legislativo 159 del 2011 per l’applicazione della misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria.

E’ stato infatti rinvenuto un solo audit all’esito del quale non si è rilevata l’assenza del reparto di produzione, requisito essenziale per l’esecuzione del contratto (circostanza rilevabile ictu oculi e di per sé implicante che la produzione dei prodotti sarebbe stata affidata a terzi).

Sul piano del profilo soggettivo richiesto per l’applicazione della misura di prevenzione, il soggetto terzo deve porre in essere una condotta censurabile quantomeno su un piano di rimproverabilità colposa. Quindi negligente, imprudente o imperita, senza che la manifestazione attinga il profilo della consapevolezza piena della relazione di agevolazione (quest’ultimo caso è ascrivibile nella cornice dolosa del diritto penale a ipotesi concorsuali o quantomeno favoreggiatrici).

Dovendosi comunque leggere la misura dell’amministrazione giudiziaria come posta anche a favorire la tutela dell’attività imprenditoriale e della sua trasparenza, occorre che la condotta del terzo possa e debba essere censurata esclusivamente sul piano del rapporto colposo che riguardi, cioè, la violazione di normali regole di prudenza e buona amministrazione imprenditoriale che la stessa società si sia data (magari dotandosi di un codice etico) o che costituiscano norme di comportamento esigibili sul piano della legalità da un soggetto che opera a un livello medio-alto nel settore degli appalti

La carenza di modelli organizzativi e la presenza di istituti di internal audit fallaci integrano i presupposti dei cui all’articolo 35 del decreto, atteso che tali carenze organizzative e tali mancati controlli agevolano colposamente soggetti ai quali si contesta il reato di cui all’articolo 603 bis del Codice penale.

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