Non c’è solo il rosso come colore principe. A Pompei il verde è ovunque, nei giardini delle ville più belle e negli affreschi di dimore di grande rango. Racconta la flora di duemila anni fa, che sia quella descritta nei dipinti riemersi dalla catastrofica eruzione del Vesuvio del 79 d. C. oppure ricostruita dai minuscoli resti analizzati al microscopio. Un viaggio speciale perché l’archeobotanica aiuta a ricostruire la vita sociale ed economica in epoca romana, a cogliere conoscenze e usi delle piante per una varietà di fini: alimentari, tessili, medicinali, edilizi, cosmetici, religiosi. Un mondo pieno di sorprese, non solo per gli esperti che per i loro studi passano al setaccio frammenti carbonizzati di piante spontanee, pollini, legni, semi, fossili accanto ai dipinti dove naturalmente compaiono anche le specie coltivate.

«I resti sono stati ritrovati nei depositi, nei granai, nelle botteghe e nelle case delle città sepolte, stivati in vari contenitori, ma anche all’interno di piatti e pentole in procinto di essere consumati», ha spiegato Michele Borgongino nel libro “Archeobotanica Reperti vegetali da Pompei e dal territorio vesuviano”.

Particolare di un dipinto
Particolare di un dipinto
Particolare di un dipinto

Gli affreschi, accanto ai resti vegetali, raccontano le specie diffuse nei giardini, dove ricorrono composizioni di margherite, pervinche, edera, felci, violette, papaveri, anche corbezzolo, alloro, viburno. E poi ci sono le specie esotiche come fior di loto, palme da datteri, il platano proveniente dalla Grecia e simbolo del superamento delle difficoltà della vita. Tra le piante ornamentali nell’iconografia pompeiana non manca la rosa. Capitolo fondamentale quello rappresentato dalle piante alimentari tanto preziose per la sopravvivenza da essere considerate sacre, come l’olivo e la vite.

Combinando l’analisi iconografica e quella dei frammenti emergono tante curiosità. Tra le altre cose, «si possono verificare i tempi di importazione di alcune specie diventate poi comuni in Italia. Si pensi, ad esempio, al pesco, all’albicocco, al ciliegio e, cosa sorprendente, al limone e al cocco, il primo ritenuto importato dagli Arabi nel XII secolo, il secondo addirittura nel 1500 nel Nuovo Mondo, ma l’uno certamente già coltivato in area vesuviana, i frutti dell’altro raffigurati in un affresco». Lo sottolineava nel suo libro intitolato “Verde pompeiano” Annamaria Ciarallo, fondatrice e direttrice per molti anni del Laboratorio di ricerche applicate negli scavi di Pompei. Lei ha dato un impulso forte alla riscoperta degli spazi verdi pubblici e privati della città sepolta. Via le piante infestanti che nel tempo si erano annidate tra le pietre. Nelle aiuole vengono preferiti sempreverdi, ginepri e piante medicinali e coronarie, come mirto e alloro, fiori e alberi da frutto.

Casa del Menandro
Casa del Menandro
Casa del Menandro

Nella città spazzata via dal Vesuvio, vasta 66 ettari e racchiusa tra le mura, venivano coltivati anche il melograno, simbolo di eternità, importato dai coloni giunti dalla Grecia, e diverse varietà di fico, come pure abbondava la produzione di mele, pere e susine. Per le esigenze familiari le case più antiche avevano un orto che nel tempo si è evoluto con il peristilio fino a diventare un giardino che nelle dimore più lussuose riempiva spazi ampi e decorati.

Nell’area circostante la città antica c’erano estesi vigneti e coltivazioni di alberi da frutto, a iniziare dai peschi. «La frutta doveva avere un fiorente mercato, non solo quella fresca, ma anche conservata, come attestano i ritrovamenti in molte botteghe delle città di Pompei e Ercolano di frutta contenuta in vari contenitori fittili», spiega Borgongino. Le pesche erano conservate nel miele e nel vino, oppure essiccate e riposte nelle anfore. I fichi sono ricorrenti nelle rappresentazioni pittoriche: sono l’alimento base nella dieta del tempo.

Il pesco era arrivato dal Medio Oriente, anzitutto per le sue proprietà medicinali. L’albicocco venne importato dall’Armenia, il ciliegio nel 74 a. C dal Ponto, nell’Asia Minore.

Il paesaggio vesuviano contemplava pini e cipressi, salici e pioppi, coltivazioni di lino e canapa che assieme alla ginestra erano preziose piante tessili.

Casa dei Vettii
Casa dei Vettii
Casa dei Vettii

La casa dei Vettii, tappa irrinunciabile di ogni visitatore che mette piede a Pompei, è uno scrigno importante per la ricchezza degli ambienti decorati in modo sontuoso che ruotano attorno al peristilio con annesso giardino tra statue, tavoli in marmo e getti di fontana. Nella grande cenatio sono ritratti gruppi di Amorini intenti in varie attività commerciali come acquisto e vendita di vino, vendemmia, coltivazione di fiori, produzione di profumi, lavorazione di metalli, oreficeria, pulitura delle vesti, panificazione. Uno spaccato di vita quotidiana dove si può cogliere anche l’attività agro-pastorale nell’affresco che mostra l’asinello e le ricotte riposte nel paniere di giunco, accanto agli asparagi.

Particolare di un dipinto nella Casa dei Vettii
Particolare di un dipinto nella Casa dei Vettii
Particolare di un dipinto nella Casa dei Vettii

Il giardino è un gioiello tra vialetti e aiuole che mostrano dal vivo le specie raffigurate negli affreschi. Casa del Menandro, Casa del Frutteto, Casa del Bracciale d’Oro esibiscono splendide raffigurazioni, comprese le nature morte, che non esauriscono certo il viaggio alla scoperta del verde ma aiutano a cogliere la varietà di colture, la cura di paesaggi e ambienti dell’antica Pompei. Una bellezza da paradiso terrestre a cui gli scavi riescono a dare una vita nuova e affascinante.

© Riproduzione riservata