C’è quell’attimo che ferma la grande storia e quello delle piccole storie delle famiglie, frammenti di vita oggi forse banalizzati dal facile e troppo rapido scatto degli smartphone che si perde tra migliaia di altre immagini, lo sguardo del fotoreporter, quello dell’appassionato che al liceo si chiudeva in camera oscura per officiare il rito dello sviluppo e della stampa, e quello di chi semplicemente immortalava una gita di famiglia. “Storie di un attimo” la rassegna popolare di fotografia (organizzata per il dodicesimo anno da Argonauti), che si svolge in questi giorni ad Olbia è tutto questo e anche di più perché si parla anche di cinema e di libri, ci si ritrova, si comprano e si vendono vecchie macchine fotografiche. 

Ventun mostre aperte al museo fino al tre dicembre, l’evento di punta è “Fotografia e destino”, la mostra di Tano D’Amico, 81 anni e una verve comunicativa che va oltre quello che racconta con le immagini come hanno potuto apprezzare gli appassionati in un incontro al Politecnico Argonauti e in una preziosa visita guidata ai suoi scatti più famosi. Scatti militanti dedicati agli ultimi, ai dimenticati, ai combattenti. E alle combattenti perché c’è uno sguardo speciale sulle donne.

Fotografia e destino

Ragazza e carabinieri: in mostra la celebre foto di Tano D'Amico
Ragazza e carabinieri: in mostra la celebre foto di Tano D'Amico
Ragazza e carabinieri: in mostra la celebre foto di Tano D'Amico

Nato a Filicudi, dopo un’esperienza milanese, si trasferisce a Roma alla vigilia del Sessantotto, ed è la partecipazione alla tumultuosa vita politica di quegli anni a portarlo alla fotografia. Collabora con Potere Operaio, Ombre Rosse e soprattutto Lotta Continua, un sodalizio che durerà fino alla definitiva chiusura del giornale, più tardi con il Manifesto. La mostra olbiese è uno spaccato significativo del suo lavoro che vede al centro gli attori più marginalizzati della scena sociale – disoccupati e senza casa, bambini e malati mentali, detenuti e immigrati, – protagonisti anche dei suoi progetti editoriali.

D’Amico ha dedicato un paio d’ore la domenica mattina a fare il cicerone tra le foto della mostra. C’è il reportage tra i vicoli di Napoli, le lotte operaie, quelle degli studenti. Ma soprattutto le battaglie per la casa, con le donne in prima linea davanti ai carabinieri schierati. «Qua – racconta – avevano occupato il pianterreno di una villa della nobiltà romana. A un certo punto è uscito un prete e ha ordinato da mangiare per tutti i bambini». E, a proposito di preti, al fotoreporter dei rivoltosi è capitato anche di illustrare un nuovo catechismo della Chiesa cattolica. «Quando la Cei mi ha chiesto questo lavoro all’inizio non ho accettato, era molto impegnativo e poi lo volevano in quindici giorni. Il vescovo mi ha detto, ma guardi che lei le foto che ci servono le ha già». Tra queste lo scatto dove casualmente c’erano tredici persone, lavoratori, a tavola, perfetta rappresentazione dell’Ultima cena . Ma a colpire – tra i 46 scatti in mostra – sono soprattutto gli sguardi delle donne. Quello della ragazza nel corteo, che mostra solo gli occhi, in una delle sue foto più celebri, la donna in prima fila («non ho mai saputo chi fosse») al funerale di Pippo Fava, ucciso dalla mafia, le manifestanti per i diritti, il divorzio, l’aborto. E non è un caso se nelle rivolte di quegli anni, le donne occupano un posto centrale.

Ricordi di famiglia

Ultimo tango a Tavolara: le foto di famiglia di Marco Piro
Ultimo tango a Tavolara: le foto di famiglia di Marco Piro
Ultimo tango a Tavolara: le foto di famiglia di Marco Piro

La visita al museo è un passaggio tra le diverse espressioni della fotografia, ritratti e paesaggi urbani, spettacoli della natura e cinema. E  – accanto ai diversi altri progetti – c’è l’altra faccia della rassegna, quella popolare. Fatta degli scatti dei fotoamatori, delle immagini di famiglia, delle cartoline che raccontano la straordinaria evoluzione urbana di Olbia negli ultimi cinquant’anni. Tra le più suggestive “Ultimo tango a Tavolara”, un racconto in immagini della famiglia del fanalista Roberto Ricco arrivato sull’isola insieme alla moglie maestra Elena Cassibba nel 1955 quando il turismo gallurese ancora non esisteva e sull’isola c’erano ancora i forni di calce e una piccola comunità che frequentava una pluriclasse. Ed era difficile vedersi anche su un’isola così piccola per Roberto, di turno al faro di punta Timone, e la moglie ospitata con la figlia bambina Betty dalla famiglia Bertoleoni (i re di Tavolara) a Spalmatore dove insegnava. Una storia raccontata dalla maestra, recentemente scomparsa, in un video progetto dell’Area marina protetta e oggi restituita da quelle foto in bianco e nero, recuperate dal nipote Marco Piro, che tra un ballo a piedi nudi e una pesca strabiliante raccontano sprazzi di quel tempo perduto.

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